Matera 2019

Fonte: IlSole24Ore del 30 Marzo 2012

Matera apripista della creatività verso il 2019
di Salvatore Adduce e Paolo Verri

Da più di un mese leggiamo il Sole 24 Ore con speranza.

Il più importante giornale economico del Paese ha lanciato una grande campagna di valorizzazione del settore culturale, che ha avuto il suo culmine nell'intervento di domenica scorsa del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Un intervento in cui si parla di politiche lungimiranti, dai tempi medio lunghi, di paesaggio, di agricoltura, di nuovi modi di concepire la ricchezza, di nuove forme di valorizzazione del patrimonio culturale nazionale.  Ebbene, sono proprio questi i criteri che hanno ispirato la città di Matera a candidarsi capitale europea della cultura per il 2019. Dopo essere stata vergogna del Sud negli anni Cinquanta, essersi riscattata ed essere luogo di innovazione urbanistica e sociale, ed essere infine diventata patrimonio dell'umanità nel 1993. Una sfida? Una competizione con molte altre città italiane ansiose di bissare i successi di Genova 2004 o di ripercorrere le fortunate strade di trasformazione urbana di Torino 2006?

In realtà, studiando 25 anni di storia di capitali europee della cultura, quello che salta agli occhi è che i progetti più interessanti e di maggior profondità, di lungo periodo, sono emersi in città piccole, spesso sconosciute ai più, città come Linz (Austria) capitale nel 2009 o Stavanger (Norvegia, 2008). E che le suggestioni più forti per il futuro della manifestazione sono nelle mani di sindaci di territori altrettanto poco noti, come Mons (Belgio) o Breslavia (Polonia) che saranno capitali europee della cultura rispettivamente nel 2015 e nel 2016.

Che cosa caratterizza queste città? Che cos'hanno da insegnarci?

Innanzitutto che cultura è partecipazione, produzione locale, condivisione di filosofie di vita, costruzione di un senso di identità e di comunità. È questo che rende ricco un luogo: la coesione morale tra gli attori di un territorio, la voglia di cooperare a prescindere e spesso addirittura in contrasto con gli utili individuali.

Secondo insegnamento: un uso accentuato dell'innovazione tecnologica nel costruire programmi, comunicazione, eredità delle azioni previste. Innovazione che tocca bambini e anziani, scuole e spazi pubblici, che crea nuove forme di consumo, sempre meno passivo, anzi, si può dire con felice ossimoro, consumo produttivo.

Terzo elemento: queste città non sono in competizione tra loro, ma sono fortemente cooperative. Costruire una cultura redditizia significa innanzitutto concepirla come occasione di scambio, di conoscenza reciproca. Essere capitale europea della cultura significa offrirsi alle ibridazioni, e soprattutto fare progetti con tutte le altre nazioni del Vecchio Continente, se possibile allargando anche a Stati non Ue. In virtù di tutte queste considerazioni, noi non siamo in competizione con le altre città candidate italiane al 2019: per noi Siena e Ravenna, Venezia e Perugia/Assisi, Torino e Bergamo, L'Aquila e Bari (solo per citarne alcune tra quelle che con più o meno forza e organizzazione si sono dette interessate alla candidatura) sono dei compagni di viaggio con cui costruire un piano strategico per la cultura italiana che cominci nel 2015 subito dopo l'Expo, continui fino a tutto il 2019 e generi nuove idee e opportunità fino almeno al 2025. Un piano strategico che deve avere un valido aiuto dal Governo in carica non solo e non tanto a livello economico, ma proprio a livello di condivisione delle scelte territoriali.

Non dobbiamo produrre tutti le stesse cose in tutte le città italiane candidate. Dobbiamo valorizzare la nostro tipicità, la nostra identità, che deve essere parte di una chiara identità italiana al servizio di una altrettanto chiara idea di Europa. Di questo parleremo, con i nostri colleghi e amici delle città candidate, a Ravenna il 14 aprile; questo racconteremo a Settembre a Matera in occasione della seconda edizione di Materadio, la festa di Radiotre che dedicheremo proprio alla nuova cultura europea. Intrisa di tecnologia e paesaggio, senza contrasti ma con un unico vero obiettivo: quello di pensare allo sviluppo come strumento per produrre altra cultura e altra conoscenza, e non come fine stesso di ogni azione collettiva.